200 anni e non sentirli: buon compleanno Frankenstein!

Tra pochi giorni, domenica 11 marzo, si celebrano i 200 anni dalla pubblicazione di Frankenstein: or, the Modern Prometeus, dell’autrice Mary Shelley Wollstonecraft Godwin. Sulla genesi di questo romanzo, successivamente definito il primo romanzo di fantascienza della storia, molto è stato detto e scritto, ma oggi voglio provare a raccontarvela partendo da un po’ più lontano, dal 1816.

In molte regioni del mondo, il 1816 passò alla storia come “l’anno senza estate”. La causa è da ascriversi all’evento sismico che ebbe inizio il 5 aprile dell’anno precedente sul monte Tambora, 300 chilometri a est di Bali, che produsse la maggiore eruzione vulcanica mai registrata sulla Terra; nelle settimane successive il vulcano scagliò nell’aria 100 chilometri cubici di detriti, e i milioni di tonnellate di polveri che ne scaturirono si estesero fino a oscurare il sole e a provocare un crollo nelle temperature da 3 a 6 gradi centigradi. Per anni si susseguirono evidenti alterazioni climatiche, che compromisero i raccolti a livello globale e provocarono carestie in Europa e in Cina nonché, con tutta probabilità, anche un’epidemia di colera in India.

Cosa ha a che fare tutto questo con Frankenstein?  La serie di coincidenze che si verificarono (Lord Byron lasciò l’Inghilterra per sottrarsi allo scandalo della separazione dalla moglie e si trasferì a Ginevra col suo medico John Polidori, nello stesso albergo in cui Percy Bysshe Shelley e Mary Wollstonecraft, fuggiti insieme da poco, risiedevano insieme alla sorellastra di Mary, Claire) portò i giovani a incontrarsi e decidere di trasferirsi in due ville sul lago di Ginevra, proprio durante quel fatidico anno senza estate. Pur potendo trascorrere poco tempo all’aperto per via del maltempo, la posizione delle ville si rivelò favorevole per l’osservazione dei temporali in avvicinamento sopra le cime montuose creando un ambiente del tutto affine al gusto gotico dell’epoca. Ecco come lo descrive Mary Shelley in una lettera:

Una sera ci siamo goduti la più bella tempesta che io avessi mai visto. Il lago era tutto acceso, i pini sul Giura d’un tratto visibili, l’intera scena illuminata per un istante e poi sprofondata in un buio di pece, mentre il tuono sopraggiungeva con spaventose esplosioni sopra le nostre teste in mezzo alle tenebre

Pensate a come doveva essere già orientata verso il mistero e l’oscurità la fantasia di questi giovani quando, un giorno, Byron propose una gara di invenzione di storie di fantasmi. Essendo gli anni del galvanismo, è facile immaginare quanto la questione della possibilità, per l’uomo, di rianimare un cadavere, fosse centrale nell’interesse di molti. Per Mary Shelley era più che centrale, era quasi un’ossessione. Immaginò che si potesse fabbricare un corpo a partire da varie parti di cadaveri e poi donargli la vita in un gesto che mescola l’assoluta fiducia del progresso scientifico e la pericolosa illusione di potersi sostituire al Creatore. Plasmò così il personaggio del dottor Victor Frankenstein, che infuse la vita nella sua sfortunata creatura, con un aspetto mostruoso e una sete d’amore che non fu capita da nessuno e che si trasformò in furia distruttrice.

Perché ancora oggi continuiamo a leggere, studiare e amare questa storia? Ci sono molti motivi. Il dottor Frankenstein è spesso descritto come un personaggio guidato (e travolto) dalla convinzione che la scienza possa farci arrivare ad avere la stessa importanza di Dio nell’universo e, per quanto si dimostri, a un certo punto, spietata, ci è facile empatizzare con la creatura, incompresa e isolata da un mondo che è ancora meno pronto ad accoglierla dell’uomo che ne dovrebbe essere responsabile ma che non la accetta. Franco Pezzini ne analizza molti altri nel volume Fuoco e Carne di Prometeo. Incubi, galvanisti e Paradisi perduti nel Frankenstein di Mary Shelley, che vi consiglio di leggere se volete scoprire come quest’opera, al di là delle canonizzazioni apportate da cinema e teatro, risulta fondamentale per capire i travagli di un’epoca di snodo della nostra civiltà.

Tra le molte ispirazioni cinematografiche non possiamo tralasciare la grande quantità di serie tv che negli ultimi anni sono state dedicate ai personaggi del dottor Frankenstein e della Creatura; tra queste, oggi ve ne suggerisco una che ho seguito e molto amato e una che devo ancora iniziare a vedere, accomunate dall’ambientazione storica e dal sapiente intreccio di figure fantastiche e letterarie, ma non solo.

Iniziamo da Penny Dreadful, una coproduzione anglo-americana trasmessa in tre serie sul canale Showtime tra il 2014 e il 2016. La divina Eva Green/Vanessa Ives è al centro della vicenda, ambientata in un’inquietante tanto maestosa Londra tardo-vittoriana, alle prese con gli omicidi di Jack Lo Squartatore e la presenza di licantropi, vampiri, personaggi misteriosamente immortali (Dorian Gray) e un dottore con una grave dipendenza farmacologica e un secondo problema ancora più grande: ha dato la vita a un mostro che, oltre a perseguitarlo per un periodo, continua a turbarne la coscienza senza possibilità di riscatto. Harry Treadaway interpreta il giovane, tormentato dottore, che a un certo punto della terza serie riceve perfino la visita dell’ex compagno di studi, adesso dottor Jekyll, ma è Rory Kinnear, che gli appassionati delle avventure di James Bond ricorderanno nel ruolo dell’agente governativo Bill Tanner in Quantum of Solace e Skyfall, a strapparci il cuore: la sua interpretazione della Creatura, col suo tentativo di ricongiungersi alla famiglia che aveva nella sua vita precedente, ha una potenza drammatica non paragonabile a nessuno degli altri personaggi se non a quella di Billie Piper, che muore nei panni di una prostituta e si sveglia in quelli di una Lily Frankestein che non seguirà il volere del suo Creatore.

Se Penny Dreadful ha segnato la mia condanna alle maratone di serie tv su Netflix, adesso la mia fissazione è destinata a tornare a vestire costumi di scena storici, stavolta non vittoriani ma tardo georgiana: The Frankenstein Chronicles si ispira liberamente a personaggi reali e immaginari ed è ambientata in una Londra che, dopo 10 anni esatti dalla pubblicazione del romanzo di Mary Shelley, è scossa dai crimini di un emulatore del personaggio del dottor Frankenstein.  Sarà John Marlott, il classico investigatore dalla storia travagliata che non riesce a darsi pace per aver perso moglie e figlia, a mettersi sulle sue tracce, consultando anche l’autrice stessa non prima di aver fatto visita a un William Blake sul letto di morte. Ho già detto che non vedo l’ora di vederlo? Probabilmente inizierò proprio questo fine settimana, per festeggiare a dovere questa ricorrenza.


E poi forse rileggerò Frankenstein, che alla luce del volume di Pezzini avrà tutto un altro sapore. E voi, come augurerete buon compleanno a Frankenstein? 🙂

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