Marco Missiroli è tutto tranne una rivelazione del nostro panorama letterario, eppure ammetto con candore che per me rappresenta una scoperta. Grazie alla sua comparsa tra i 57 testi proposti per il Premio Strega 2019, che si è poi trasformata nell’ingresso alla dozzina dei candidati, mi sono avvicinata al suo Fedeltà e ci ho trovato molto quotidiano, una storia che può essere di tutti quelli che la leggono, in cui si possano ritrova facilmente se stessi o persone vicine.
E ci si ritrova la routine, che a volte stanca, che va avanti per inerzia, accompagnata dalla descrizione di una grande città caratterizzata da colori plumbei, freddi, che sanno di acciaio, opachi e malinconici.
In una scrittura fitta e continua, senza una suddivisione in capitoli e con repentini cambi di punti di vista, la narrazione ruota intorno al MALINTESO. Le cose non dette, le azioni non concluse, le apparenze che non fanno il monaco si snodano, avvolgono i protagonisti e li fanno andare avanti, in molteplici vite vissute parallelamente, ma che possono convivere anche tra sé.
Domande chiave del libro sono “Che cos’è la fedeltà?” e “Che cos’è il tradimento?” .
A chi si è veramente fedeli? A un compagno, un marito, un amico, un lavoro, un ideale politico? Chi si tradisce? Un compagno, un marito, un amico, un lavoro, un ideale politico? Perché si è fedeli o si tradisce sempre qualcuno o qualcosa che è altro da sé. Magari focalizzarsi di più su se stessi e pensare che è più rilevante l’essere fedeli a se stessi e NON TRADIRSI, perché secondo me (e voglio essere forse estrema affermando questo, ma resto fedele a me stessa) si può essere fedeli a se stessi anche quando si è immersi nel tradimento, se questo è quello che ci rispecchia, che riflette la nostra propria condizione.