Una trentenne che è un mix tra Sheldon Cooper e Pippi Calzelunghe: la cinica criticità e l’anticonformismo più estremo sono due delle sue caratteristiche principali.
Al giorno d’oggi non sapere chi è Spongebob o cosa sia Grand Theft Auto, stupirsi ancora di fronte a un atto di gentilezza fatto senza aspettarsi nulla in cambio, non essere andata troppe volte dall’estetista o dal parrucchiere e non pensare troppo a cosa indossare per un’occasione piuttosto che per un’altra, sono caratteristiche un po’ sui generis, controcorrente, che fanno anche nascere un sorriso sulle labbra di chi legge.
Se però aggiungiamo che la sua unica compagnia sia stata per lungo tempo una pianta a cui aveva dato il nome di Polly, sistemata in un angolo di un appartamento dove non telefona mai nessuno e viene a bussare solo il postino o gli addetti alla lettura dei contatori, questo sorriso che avevamo fino a un momento fa sul viso comincia a diventare prima più tirato e poi a rabbuiarsi fino a spegnersi del tutto.
Ecco che fa capolino nella nostra coscienza una nuova consapevolezza: quella di una solitudine profonda, che ha origini lontane e che blocca, che rende insicuri e incerti dei propri passi e con poca e mal riposta fiducia nelle proprie forze. La solitudine si rafforza nutrendosi di queste miscredenze e il passo verso il buio della depressione è più che breve. Uscirne diventa difficile, come una ripida salita in bicicletta da soli sotto una pioggia fitta.
Ma soli non lo siamo mai davvero. Abbiamo la forza di guardarci intorno e osservare: chi ci vuole veramente bene c’è sempre (mi piace crederci sul serio mentre lo sto scrivendo) e questo ci aiuterà a riemergere dalle ombre e ci riporterà su una strada in piano dove ha appena smesso di piovere. Abbiamo la forza di guardarci intorno per essere pronti a ricevere ma anche per essere pronti a dare; per essere una mano tesa, un braccio a cui appoggiarsi e una spalla su cui sfogarsi.
Anch’io ho amato, come tutti, Eleanor Oliphant, che ha attraversato le tenebre della solitudine, il fuoco delle cattiverie che lasciano cicatrici profonde ma che, come una fiera fenice, è risorta più forte di prima e, non più sola, sta attraversando il mondo e sta bene, anzi benissimo.
Eleanor Oliphant sta benissimo, di G. Honeyman, tr. it. S. Beretta, Garzanti