Pensiamoci prima di zittire qualcuno.
Pensiamo a quale atto di tirannia ci stiamo assoggettando.
Libertà di parola.
Libertà di esprimersi con la voce.
La voce come arma, come manifestazione della propria volontà, come affermazione della propria personalità.
Non ci pensiamo quando parliamo in modo logorroico, inondando chi ci sta di fronte con un fiume ininterrotto di suoni, sillabe, luoghi comuni, frasi fatte…
Se avessimo un contatore a vigilare su quante parole pronunciamo, che ci avvisasse se stiamo per rimanere a secco e che ci strattonasse qualora superassimo quel limite invalicabile più o meno consapevolmente, come reagiremmo?
E, soprattutto, se questo ipotetico contatore fosse installato, contro la propria volontà, solo ed esclusivamente a una categoria di esseri umani?
In questa storia, a subire la restrizione sono le donne, in un futuribile mondo che è diventato a “sesso unico”, quello maschile.
Il contatore monitora le parole e man mano che sale e si avvicina alla soglia limite, aumenta in me lettrice il senso di angoscia, di impotenza e un senso di mancanza d’aria mi prende alla gola e me la stringe.
Mi fermo. Prendo letteralmente una boccata d’aria.
La realtà che mi circonda non è così…
O forse no…
Ci sono altri contatori invisibili che ci potrebbero controllare…
Siamo vigili e accorti.
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