Inizio il mio personale viaggio nella lettura dei libri proposti al Premio Strega 2019 con Carla Maria Russo e il suo L’acquaiola.
Carla Maria è una donna gentilissima, di cui ho letto e apprezzato i romanzi storici (qui trovi la recensione del suo La sposa normanna) e con cui, da lontano, ho avuto il piacere di scambiare quesiti e opinioni in proposito sperando, prima o poi, d’incontrarla da vicino (qui trovi la mia intervista per il blog Libri, chiacchiere e vino).
Prima ancora di iniziare a parlarti del suo libro ti annuncio che secondo me avrebbe meritato appieno di rientrare nella rosa dei papabili alla vittoria di questo premio. Ma dato che così non è stato, non angustiamoci oltre e lascia che ti accompagni nella sua storia.
In un paese del profondo Sud, dove regna ancora la deferenza verso il padrone e il rispetto delle regole formali, si snoda la vita sempre uguale di Maria, figlia di poveri, che ha davanti a sé “giorni sempre uguali come i grani di un rosario”. Per lei non sono previste gioie, felicità, ricompense di alcun tipo. Sottomessa, si lascia vivere, si autoinfligge la pena cui la nascita l’ha condannata.
Lavora come un uomo e più di un uomo.
Sfiorisce, Maria, muore dentro e fuori a poco a poco.
Violata, Maria non reagisce, si convince che la vita sia una sorta di continuo calvario in cui l’espiazione non è possibile.
Non ama, Maria, né se stessa né la figlia, sangue del suo sangue, che le ricorda ogni giorno la sua colpa.
Non reagisce, Maria, ai soprusi e alle offese.
Resta immobile, Maria, nel suo mondo, tra un fazzoletto di terra e un pozzo distante.
Non nutre speranze.
Non comprende inizialmente il muro che si frappone tra sé e la figlia.
C’è redenzione, c’è speranza, forse, alla fine di una lunga vita, spesa nel lavoro fino alla fine.
Un Sud povero, chiuso e rinchiuso entro i muri a secco di un paesino di provincia.
Napoli è lontanissima.
Roma, un altro mondo.
L’America degli emigranti, un’ avventura senza certezze.
Carla Maria Russo, con un linguaggio calato nel vissuto e storicamente aderente, ancora una volta, alle realtà popolari che descrive con immagini che restano impresse, ci trasporta in un tempo ben preciso, che appare così lontano, eppure lascia in bocca il sapore di qualcosa che è ancora così vivo e presente.
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